Nel comune sentire l’acquisto di un immobile in asta giudiziaria è considerato un mezzo sicuro ed affidabile, che mette l’acquirente al riparo da brutte sorprese.
In effetti c’è un fondo di verità in tutto questo, nel senso che il decreto di trasferimento del diritto di proprietà, quale atto culminante della procedura esecutiva immobiliare, vuoi per i controlli cui è sottoposto ante la sua adozione, vuoi per lo schermo protettivo creato dall’art. 2929 Cod. Civ. e dalla stessa giurisprudenza ex post, è un atto nella sostanza intangibile o quasi. Quando in una controversia ci si imbatte in un decreto di trasferimento la parte che è onerata della prova del diritto di proprietà, considerata una diabolica probatio nel nostro ordinamento, può dunque tirare un sospiro di sollievo, come si suol dire, perché di certo rappresenta per tutti un punto fermo e difficilmente rimuovibile.
Si tratta di una certezza importante, ma non è sufficiente a mettere l’acquirente al riparo dalle altre possibili problematiche dell’immobile acquistato in asta, prima fra tutte le sua regolarità (ergo regolarizzazione) urbanistica, che l’esperto è tenuto a verificare, sulla falsariga di quanto prevede l’art. 568 c.p.c., ai fini della determinazione del valore di mercato del bene, rilevando la potenziale incidenza negativa data dall’esistenza di abusi edilizi e stimando l’incidenza di ciò che non è conforme sul valore complessivo, la cui pesatura varierà in funzione della possibilità di potenziale recupero o meno.
Il primo punto fermo da porre è dunque proprio questo, nel senso che non tutti gli abusi realizzati su immobili che finiscono in asta giudiziaria sono sanabili, né si tratta di un percorso giudiziario che permette di ottenere un quid pluris rispetto alle norme di conformità edilizia, o detto altrimenti che in siffatta maniera possano essere regolarizzati abusi che diversamente non lo sarebbero. Non vi è stata una apertura da parte del Legislatore in questo senso, né del resto avrebbe ragione di esistere, ancorchè l’attuale quadro normativo preveda alcune disposizioni che attribuiscono all’acquirente in sede di asta giudiziaria delle possibilità di recupero (recte di regolarizzazione) di cui diversamente non potrebbe beneficiare. Non esiste pertanto una “sanatoria giudiziale” come a volte capita di sentire, anche mediante allusioni che lasciano trasparire l’idea di un falso convincimento, che non trova però riscontro in alcun dato normativo specifico.
La complessità della materia, anche in dipendenza dei plurimi interventi normativi che negli ultimi trent’anni si sono susseguiti (ad iniziare dalla legge quadro n. 47/85), non rende agevole districarsi, a volte da parte degli stessi operatori del settore.
L’art. 173 bis delle disposizioni per l’attuazione del codice di procedura civile, nell’elencare le attività dell’esperto, specifica sub n. 7), inserito dall’art. 14 comma 1, lett. e) n. 1 del D.L. 27 giugno 2015 n. 83 (convertito con modificazioni nella legge 6 agosto 2015 n. 132) quanto Questi è tenuto a fare per quanto concerne il profilo urbanistico edilizio dell’opera, in particolare specificando che deve:
a) Accertare eventuali opere abusive, in relazione a quanto previsto nel punto 6 che precede, in ordine (per quanto qui interessa) alla verifica della regolarità edilizia ed urbanistica del bene;
b) In caso di riscontro positivo, effettuare il controllo della possibilità di sanatoria ai sensi dell’art. 36 d.p.r. 6 giugno 2001 n. 380, indicando gli eventuali costi;
c) Indagare in merito all’eventuale presentazione di istanze di condono, indicando il soggetto istante e la normativa in forza della quale l’istanza è stata presentata, lo stato del procedimento, i costi per il conseguimento del titolo in sanatoria e le eventuali oblazioni già corrisposte o da corrispondere;
d) Verificare ai fini dell’istanza di condono che l’aggiudicatario possa eventualmente presentare, che gli immobili pignorati si trovano nelle condizioni previste dall’art. 40, sesto comma, della legge 28 febbraio 1985 n. 47, specificando il costo per il conseguimento del titolo in sanatoria;
e) Nel caso in cui gli immobili pignorati si trovino nelle condizioni previste dall’art. 46, comma 5, d.p.r. 6 giugno 2001 n. 380, specificare il costo per il conseguimento del titolo in sanatoria.
In questa sede ci limitiamo ad alcune brevi considerazioni sugli aspetti più problematici, a nostro avviso, che la norma pone all’esperto, un esperto che originariamente era chiamato dal Giudice per la sola valutazione economica, mentre attualmente è tenuto a fare una due diligence a tutto tondo.
1. Il riferimento all’art. 36 d.p.r. 6 giugno 2001 n. 380 è il più lineare sul piano normativo, ma non certo il più agevole per l’esperto, che dovrebbe individuare l’epoca di realizzazione dell’abuso, poiché esso postula, come noto, l’accertamento della “doppia conformità” ai fini della sua sanabilità; un abuso che si considera tale sul piano formale ma che non lo è nella sostanza, trattandosi di opera assentibile realizzata in carenza di titolo. L’art. 36 pone semmai dei limiti temporali per la presentazione dell’istanza, richiamando l’art. 31 comma 3, 33 comma 1 e 34 comma 1 stesso d.p.r., salva la previsione di chiusura posta dall’irrogazione delle sanzioni amministrative quale ultimo momento utile in tal senso. Va peraltro aggiunto, nell’ipotesi in cui la domanda sia già stata presentata e l’esperto l’abbia verificata, che ai sensi art. 36 comma 3 si forma il silenzio-rifiuto, una volta che siano decorsi sessanta giorni dalla presentazione della richiesta, in assenza di pronuncia espressa da parte del dirigente o del responsabile del competente ufficio comunale.
2. Pe quanto invece concerne, più in generale, la verifica dell’eventuale presentazione di istanze di condono, la disposizione di attuazione appare formulata in modo “aperto”, nel senso che lascia all’esperto il compito di accertare di volta in volta l’eventuale pendenza di istanze volte a sanare l’abuso, il che appare verosimile anche il relazione alla possibilità di norme specifiche a livello regionale, che possono prevedere ipotesi di condono anche mascherato (penso alla legge per il recupero dei sottotetti vigente in Piemonte; ma non è l’unica) tenendo per l’appunto in considerazione il fatto che la materia rientra tra quelle di legislazione concorrente, ai sensi art. 117 Cost.
3. Esistono infine due peculiari disposizioni richiamate dall’art. 173 bis, vale a dire l’art. 40 (sesto comma) della legge 28 febbraio 1985 n. 47, la quale prevedendo la sanzionabilità degli abusi (evidentemente quelli già esistenti al momento dell’entrata in vigore della legge) per i quali non fosse stata presentata la domanda di condono ai sensi art. 31, aveva tuttavia introdotto nel sesto comma la possibilità di recupero del termine per gli immobili finiti in asta, assegnando all’aggiudicatario un “tempo di recupero” di centoventi giorni dall’atto di trasferimento per la presentazione della domanda “purchè le ragioni di credito per cui si interviene o procede siano di data anteriore all’entrata in vigore della presente legge” (la legge n. 47/85 venne pubblicata nella Gazzetta Ufficiale 2 marzo 1985 n. 53, per cui entrò in vigore il 18 marzo 1985). Va da sé che si tratta di una disposizione destinata ad esaurire i propri effetti nel tempo, ammesso che a distanza di oltre trent’anni dalla sua adozione vi siano ancora situazioni aperte che ne contemplino l’applicazione, a differenza invece dell’altra norma richiamata (art. 46 comma 5 d.p.r. 380/01) che esclude l’applicazione delle nullità previste dallo stesso articolo (Nullità degli atti giuridici relativi ad edifici la cui costruzione abusiva sia iniziata dopo il 17 marzo 1985) per gli atti derivanti da procedure esecutive immobiliari, individuali o concorsuali. Anche in questo caso l’aggiudicatario, qualora l’immobile si trovi nelle condizioni previste per il rilascio del permesso di costruire in sanatoria, dovrà presentare la domanda entro centoventi giorni dalla notifica del decreto emesso dall’Autorità Giudiziaria. Si tratta di una disposizione con una propria intrinseca rilevanza, che da una parte consente di superare le difficoltà connesse alla esecuzione dei controlli sulla legittimità urbanistica dell’immobile, assegnando alla procedura esecutiva una funzione quasi purificatrice dell’immobile, non solo per quanto concerne le formalità pregiudizievoli (per pignoramenti / ipoteche) ma anche dell’eventuale nullità del procedimento di esecuzione. Il che potrebbe apparire in contraddizione con quanto affermato all’inizio circa l’inesistenza di maggiori chances di condonabilità di un immobile in sede di esecuzione, ma non si tratta che di una contraddizione apparente: altro infatti sono le nullità degli atti giuridici di disposizione dei beni poste in essere nonostante la carenza di titolo edilizio, alle quali occorrerebbe dedicare un capitolo a sé, altro invece sono gli abusi, spesso parziali, che interessano parti di immobili, che apparentemente possono incidere positivamente sulla stima economica (una stanza in più, un bagno non previsto, un sottotetto recuperato a fini abitativi) mentre in realtà la non possibilità di recupero lecito li rende spuri, nel senso che l’incidenza economica è più modesta di quel che potrebbe apparire, se non addirittura negativa quando non sia neppure percorribile la strada della fiscalizzazione.
Rimangono molte zone d’ombra, argomenti che andrebbero trattati (cosa succede, ad esempio, nel caso di immobile radicalmente abusivo, che sia stato oggetto di ordinanza di demolizione rimasta ineseguita, con effetto acquisitivo al patrimonio del Comune, riguardante un immobile pur realizzato in forza di un titolo edilizio nel frattempo annullato) singolarmente, che non rappresentano certo la generalità dei casi, ma che in una situazione così variegata come si presenta il patrimonio immobiliare del nostro Belpaese, non possono considerarsi neppure casi isolati.
Il prossimo momento in cui incontrare l'Avv. Teresio Bosco è a Mantova il 24/10/2017 durante il corso Elementi di diritto pubblico, privato e urbanistico.
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