L’articolo 54-ter del decreto cura Italia sancisce che gli espropri relativi all’abitazione principale del debitore, vengono sospesi fino al 30 ottobre 2020, però la norma dà la sensazione che ciò avvenga automaticamente, perché il testo è lacunoso e difficilmente decifrabile.

L’ambito applicativo è quello delle procedure in corso e degli atti con contenuto esecutivo. Ne consegue che proseguono sia la notifica del pignoramento, sia gli adempimenti successivi alla liquidazione del bene, quali l’emissione del decreto di trasferimento e il riparto. Diversamente è tutt’altro che pacifico quali effetti abbia sulle aggiudicazioni in pendenza dei termini di saldo prezzo.

Al di là delle evidenti criticità operative sulla definizione di abitazione principale (le risultanze anagrafiche sono presunzioni semplici o legali?) e i dubbi sulle pertinenze autonomamente accatastate, il legislatore non spiega se la sospensione operi autonomamente (su chi ricade l’obbligo dell’accertamento?) o per istanza di parte (a parere di chi scrivere sarebbe stato opportuno onerare il debitore di dare impulso alla sospensione, gravandolo della prova).

In assenza di chiare indicazioni, gli uffici giudiziari procedono in ordine sparso. L’unico punto comune è la ricaduta dell’indagine sugli ausiliari, ma i Tribunali di Bari e Milano vanno oltre, disponendo che gli stessi, nel rilevare le condizioni di sospensione (con una certa dose di discrezionalità), possano procedere senza alcun provvedimento del Giudice dell’esecuzione.

Bologna, Napoli Nord e Torino (di parere contrario Santa Maria Capua Vetere), in aderenza alla tesi che il termine sia di natura processuale (si veda file allegato Cassazione 12004/2012), posticipano i termini del saldo prezzo per un numero di giorni pari al periodo di sospensione, concedendo agli aggiudicatari dei soli immobili adibiti a prima casa del debitore una maggiore dilazione (236 giorni, in luogo di 63), in assenza di diverso impedimento.

Non convince l’interpretazione del Tribunale di Aosta, volta a estendere la sospensione all’intera procedura avente al suo interno l’abitazione principale e, quindi, anche agli altri immobili.

Desta qualche perplessità la lettura dell’articolo 10, comma 3 bis, del Tuir operata dai Tribunali di Nola e Bari al fine di escludere la dimora abituale dei familiari del debitore.

Maggiormente condivisibile è il Tribunale di Napoli Nord, quando riserva al Giudice la potestà dell’accertamento della circostanza fattuale della sospensione e stabilisce che l’estensione agli altri immobili scatta solo con nesso di pertinenzialità.

Se il fine fosse il disagio abitativo, maggiormente efficace sarebbe stata l’estensione della platea all’abitazione principale “del possessore” a qualunque titolo e non certamente solo “del debitore” (la circolare del Tribunale di Bologna si spinge oltre il significato della norma), magari limitandosi alla messa in quarantena degli ordini di liberazione, senza pregiudicare il prosieguo della procedura.

Parimenti, poiché l’intento declamato del testo è «contenere gli effetti negativi dell’emergenza epidemiologica da Covid-19», sarebbe stato auspicabile individuare il presupposto nel danno patito, più che nella destinazione del compendio, includendo, quindi, gli immobili adibiti all’esercizio dell’attività d’impresa, arte o professione fustigati dall’emergenza sociosanitaria e lasciando fuori le abitazioni principali di chi non ha avuto conseguenze negative.

Ad ogni buon conto, se il risultato consiste in incertezze applicative, tanto valeva ripiegare sul congelamento generalizzato di tutte le esecuzioni forzate.

Fonte: ilSole24ore

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