Mi è capitato in varie occasioni professionali di constatare certe prese di posizione non sempre condivisibili, se non a volte piuttosto singolari, a proposito del ruolo del consulente tecnico del giudice, non ultima certamente la suggestione nei non addetti ai lavori, clienti od anche tecnici, del logo della carta intestata quando compare “Consulente del Giudice”: come se da essa potesse derivare una superiore investitura, un potere divinatorio che attribuisce fondatezza e veridicità a quanto scritto e detto da chi può fregiarsi di simile attributo. Così come a volte capita di percepire una certa stizza da parte del CTU a fronte di prese di posizione non proprio allineate con le scelte operative decise con troppa autonomia dal consulente, che dopo aver ricevuto l’investitura dell’incarico si sente forse meno propenso ad accettare l’ipotesi che il potere di cui si sente investito sia in qualche misura circoscritto, o suscettibile di essere circoscritto.

                Ebbene, il tema dei poteri istruttori legittimamente esercitabili dal consulente tecnico d’ufficio (parliamo delle consulenze tecniche con specifico riferimento al processo civile) quali siano le possibilità d’indagine in autonomia, e fino dove questi possa arrivare, costituiscono temi oggetto d’indagine giurisprudenziale, in qualche

misura correlata all’evoluzione sociale, etica e tecnologica della nostra assai complessa società. 

                La consulenza tecnica d’ufficio, ed il consulente tecnico d’ufficio sono, come noto, uno “strumento di integrazione” delle conoscenze tecniche del giudice “al fine di valutare le circostanze oggetto della controversia e le risultanze probatorie acquisite attraverso l’istruttoria” (U. Scotti, La consulenza tecnica nel processo civile, Giappichelli).

La consulenza tecnica appartiene all’istruzione probatoria (Sez. III, Titolo I, Libro II del codice di procedura civile: del processo di cognizione), non costituisce un mezzo di prova ma strumento di valutazione della prova (Scotti, cit., pag. 27), perché i mezzi di prova (prova documentale art. 2699 ss. cod. civ., prova testimoniale art. 2721 ss. cod. civ., confessione art. 2730 ss. cod. civ., giuramento art. 2736 ss. cod. civ.) nel nostro processo civile sono (solo) nella disponibilità delle parti processuali, che sono chiamate ad assolvere all’onere probatorio in applicazione dell’art. 2697 cod. civ. “Onere della prova” che costituisce principio fondamentale del nostro ordinamento giuridico (recependo l’arcinoto brocardo ’”onus probandi incumbit ei qui dicit”).

                Nella propria accezione più autentica la consulenza “deducente” è ... (prosegui la lettura scaricando il documento)

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