Il legislatore interviene per l’ennesima volta sulle esecuzioni immobiliari, nuovamente, dopo il decreto-legge 135/2018 (c.d. legge Bramini, che ha disposto che la liberazione avvenga solo col decreto di trasferimento, quando l’immobile pignorato sia la prima casa del debitore), strizzando l’occhio al debitore.

In pratica, dopo le riforme del 2015 e del 2016 (decreto-legge 83/2015 e decreto-legge 59/2016), che avevano fortemente accelerato le procedure di vendita, in favore del ceto creditorio, assistiamo ad un ripensamento generale, con la ricerca di un più equilibrato bilanciamento di interessi tra creditori e debitori.

Ma cosa era successo nel 2015-2016 e perché era necessario aggiustare il tiro?

Il decreto-legge 83/2015, come detto, aveva fortemente accelerato le procedure di vendita, ammettendo che, all’asta, potessero farsi offerte pari al 75% del prezzo base dell’asta stessa. In pratica, se il valore di stima del bene era 110 e il prezzo base, per gli adeguamenti dell’art. 568 co. 2 c.p.c., euro 100, gli interessati potevano e possono tutt’ora offrire 75.

Per di più si era previsto che, dopo il quarto esperimento di vendita, i ribassi sul prezzo della precedente asta andata deserta potessero arrivare fino al 50% (anziché il solito 25%).

Certo, c’era da disincagliare un sistema incagliato e le nuove disposizioni hanno sicuramente prodotto l’effetto voluto, ma a che prezzo?

Il prezzo è stato un generale e pesante svilimento dei valori di realizzo.

In pratica, un impoverimento per tutti, per il creditore, che non realizza il suo credito se non in minima parte, il debitore, che vede svalutati i propri beni e non si esdebita, l’intero patrimonio nazionale.

Il sistema si era poi completato con il decreto-legge 59/2016, che aveva reso più snelle le procedure di liberazione degli immobili, consegnandone la gestione al custode, anziché all’ufficiale giudiziario. Le linee guida del C.S.M. poi, del 11.10.2017, avevano suggerito l’emissione dell’ordine di liberazione fin dal momento in cui viene disposta la vendita.

Ancora una volta ciò aveva senza dubbio favorito la vendita di parte dei beni, ma con costi sociali notevoli. Moltissimi debitori erano stati messi alla porta, senza la certezza che i relativi beni venissero poi venduti o con vendita a prezzo vile.

Complice anche una giurisprudenza della Cassazione sul giusto prezzo di realizzo, che aveva ritenuto “giusto” il prezzo formatosi all’esito di una gara regolare. Una nozione puramente formale e processuale dunque di “giusto prezzo”, che si spera che il nuovo Codice della Crisi d’Impresa abbia consegnato agli archivi (il nuovo art. 216 C.C.I. parla di prezzo “congruo”).

Ebbene, le nuove disposizioni mirano a temperare le storture del sistema appena descritto, ossia ... (scarica l'intero articolo)

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