(Corte Cass. 3 febbraio 2016 n. 2072 e Cass. 30 aprile 2015 n. 8847)
Le norme agevolatrici del regime fiscale concernente l’acquisto della prima casa sono tra le più conosciute, anche dai non addetti ai lavori, non fosse altro che per la propensione dell’Italiano medio ad investire i propri risparmi quanto meno in un immobile, per “avere la sicurezza di un tetto”.
Il legislatore fiscale si è reso da tempo sensibile a questa propensione, introducendo, per l’appunto, norme specifiche che prevedono la possibilità di godere di alcuni benefici economici, al ricorrere di certe condizioni soggettive ed oggettive che qui possiamo dare per note, in primis operando una sostanziosa riduzione dell’imposta indiretta (di registro o di iva, a seconda che la transazione rientri nell’una piuttosto che nell’altra fattispecie), in secondo luogo prevedendo un credito d’imposta nell’ipotesi di vendita dell’immobile, acquistato con i benefici prima casa, nei cinque anni dall’acquisto e successivo riacquisto di un altro immobile, che abbia i requisiti oggettivi per poter beneficiare dell’agevolazione (in breve, che non sia un’abitazione di lusso) da poter utilizzare in questo acquisto ovvero per compensazione su altre contribuzioni, sulla scorta di quanto espressamente previsto dalla disciplina di settore.
La vendita infraquinquennale non comporta infatti la decadenza del beneficio, con quanto ad essa consegue, ove si realizzi un successivo acquisto infrannuale di un altro immobile, in riferimento al quale dev’essere però dichiarata nell’atto notarile, da parte dell’acquirente, l’intenzione di adibirlo a propria casa di abitazione ( comma 4 della nota II-bis della parte prima della Tariffa allegata al D.P.R. n. 131/1986).
L’intenzione naturalmente non basta, nel senso che dovrà essa concretizzarsi col trasferimento effettivo della residenza presso l’immobile acquistato.
Cosa succede, però, nel caso in cui gli acquisti siano plurimi?, ovvero realizzati in successione nell’arco infrannuale e nel termine ora di diciotto mesi assegnato dal Legislatore per il trasferimento effettivo della residenza?
Ancora una volta la realtà supera la fantasia, come si suol dire, specie agli occhi di coloro che, al pari di chi scrive, hanno “preso casa” circa trent’anni fa e tutt’ora lì abitano.
Può infatti accadere, come è accaduto nel caso esaminato nella prima delle due decisioni menzionate in rubrica della Corte di Cassazione (sentenza del 2016) che un soggetto abbia, per necessità o per diletto non si sa, ma poco importa, nel giro di qualche mese, venduto la prima casa per acquistarne una seconda nella quale ha preso la residenza, salvo poi rivenderla dopo qualche mese ed acquistarne un’altra (la terza), con un ulteriore cambio di residenza.
L’agenzia delle Entrate nulla ha potuto eccepire per quanto concerne l’applicazione della tassazione agevolata, mentre ha ritenuto non corretta la fruizione del credito d’imposta maturato sulla prima vendita in relazione al terzo acquisto, sebbene ne sussistessero le condizioni per usufruirne, ancorché in misura parcellizzata.
La decisione presa dalle due Corti di merito (di primo e secondo grado) sfavorevole all’Agenzia è stata infine confermata dalla Cassazione, per la quale l’assunzione della residenza rappresenta la chiave di lettura dell’agevolazione, nel caso di acquisto e rivendita, attribuendo ad essa una espressa rilevanza, validante anche per l’ipotesi di plurimi trasferimenti.
Tuttavia non basta “l’intenzione” dichiarata in atto, occorre l’effettivo trasferimento, come ha avuto modo di rimarcare la stessa Corte di Cassazione (ordinanza n. 8847/015) in un altro caso, non privo, anch’esso, di una certa singolarità, dal momento che si è trattato di ben quattro acquisti e tre successive vendite poste in esser nell’arco di diciotto mesi, senza che fosse assunta la residenza se non nell’ultimo immobile acquistato.
L’impianto normativo non ha mancato di suscitare qualche dubbio interpretativo in seno alla stessa Corte, la quale in un primo momento si era orientata nel senso (più permissivo) di ritenere che l’intenzione dichiarata in atto di adibire l’immobile a propria abitazione fosse sufficiente a realizzare l’intento antielusivo, ove poi si fosse effettivamente proceduto a collocare la residenza in uno qualunque degli immobili oggetto di riacquisto. Ciò è quanto chiaramente emerge dalla lettura della motivazione dell’ordinanza, che ne dà atto prima di passare all’esposizione della linea di pensiero prevalsa e maggiormente rigorista, nel senso che, ha sottolineato la Corte, il Legislatore avrebbe inteso imporre, al fine di concedere l’agevolazione correlata a consentire l’afflusso del risparmio individuale nell’acquisto della prima abitazione, che l’acquirente dell’immobile acquistato a seguito di rivendita infraquinquennale non debba semplicemente “dichiarare” di volerlo adibire a propria abitazione, cosicché le plurime (eventuali) dichiarazioni possano rimanere tutte inattuate, tranne una, ma detto impegno si deve poi tradurre in un atto concreto in tal senso. Con la conseguenza che, nel caso in cui il contribuente abbia effettuato, nell’arco di tempo previsto dalla legge, plurimi acquisti dopo la rivendita dell’immobile originariamente acquistato, egli sarà onerato per ciascuno di essi di dimostrare l’effettiva realizzazione dell’intento, in virtù del concreto trasferimento della propria residenza anagrafica nell’unità abitativa correlata. I benefici fiscali sono infatti, per loro natura, subordinati al raggiungimento dello scopo per cui vengono concessi, sicché il raggiungimento dello scopo (abitativo) rappresenta un elemento costitutivo per il conseguimento del beneficio, connaturato alla stessa ratio dell’istituto (Cass. cit.).
In conclusione, il fine antielusivo perseguito è giustificato, ma si corre forse il rischio di ingessare il sistema con misure che potrebbero rivelarsi inappropriate, in una realtà socioeconomica in movimento e di forte trasformazione quale è quella attuale.
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