La faticosa condanna dell’Amministrazione al risarcimento del danno per equivalente, ovvero attraverso il pagamento di una somma di denaro passa soprattutto attraverso la frusta che lo stesso Giudice Amministrativo, forse ancora troppo timidamente, ha iniziato ad usare.
E’ quanto emerge dalla lettura della sentenza recentissima del T.A.R. Lombardia, Milano, sez. III (sentenza 12 gennaio 2017 n. 65) che nel caso di occupazione illegittima di un’area da parte dell’ANAS, dopo aver accertato la volontà del proprietario di rinunciare alla proprietà, dal che la sentenza costituirebbe titolo per la trascrizione nei registri immobiliari e per il conseguente passaggio della proprietà in capo alla P.A., riconosce in capo al privato il diritto al risarcimento del danno per il periodo di occupazione illegittima durante il quale ha subito la perdita delle utilità ricavabili dal terreno (i) nonché la rifusione per equivalente del valore del cespite perduto, anzi rinunciato (ii).
Fin qui tutto bene, tra l’altro la sentenza merita una particolare menzione in quanto il Giudice Amministrativo infligge una “severa” (sia pur nei modesti limiti consentiti dall’ordinamento) condanna all’Amministrazione ANAS per lite temeraria, stante il defatigante comportamento tenuto in sede processuale, per aver temerariamente resistito in giudizio pur nella consapevolezza di avere torto, ed applica una sanzione pari al quadruplo del contributo unificato dovuto per il ricorso introduttivo (dovrebbe essere €. 8.000) oltre al pagamento delle spese processuali liquidate il €. 6000 oltre oneri di legge, e con segnalazione alla Procura della Corte dei Conti per far perseguire in sede contabile le eventuali personali responsabilità.
Che cosa manca per una effettività della tutela? Teniamo pur conto del fatto che stiamo parlando di una sentenza tra le più incisive, emessa da un T.A.R., quello della Lombardia, che non è certamente affetto da timidezza nei confronti del cd. “secondo potere”, secondo la nota suddivisione del Montesquieu.
Per rispondere bisogna, ancora una volta, prestare attenzione ai fatti che stanno alla base della vicenda processuale, i quali sono oltremodo significativi: innanzitutto, per quanto emerge dalla lettura della sentenza, si tratta di una occupazione risalente niente meno che al mese di maggio 1998; son trascorsi dunque quasi vent’anni d’occupazione abusiva, senza che il privato, spoliato della disponibilità dell’area ma non del diritto di proprietà, per cui ha continuato ad essere sottoposto alla tassazione, abbia ricevuto qualche ristoro. Sarà forse per questa ragione che avrà (egli) tergiversato, fatto sta che ad un certo momento ha deciso di ricorrere alla giustizia, e la sentenza è arrivata finalmente nel 2017, dopo una prima decisione parziale risalente al 2015. Tuttavia non è finita qui, almeno in questo caso, perché il dispositivo non indica il quantum, ma si limita ad individuare, ancorché in modo puntuale, i parametri di liquidazione del danno da occupazione e del ristoro per abdicazione della proprietà, rimettendo necessariamente le parti ad un successivo giudizio per la quantificazione.
Passerà ancora del tempo, credo di non sbagliare se azzardo a dire anni, per giungere in definitiva ad una sentenza specifica di condanna, che contenga nel proprio dispositivo l’individuazione della somma dovuta dall’Anas per la propria illegale condotta, dunque non soltanto un parametro di determinazione di essa.
Vuol essere questa tediante chiacchierata un invito dunque ad abbandonare la partita prima ancora di averla giocata? Niente affatto, semmai il contrario, nel senso di non tergiversare quando si verificano simili situazioni, non lasciar passare troppo tempo confidando in un maieutico evento miracoloso, e tanto meno di pensare che situazioni come quella decisa dal T.A.R. Lombardia non saranno poi così comuni, dal momento che, di contro, la loro frequenza è testimoniata dal florilegio di sentenze in materia, e per quanto possa servire ne ho testimonianza diretta con i diversi casi che nella mia attività professionale mi capita di esaminare.
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