Che la valutazione di un bene immobile non sia unica ed univoca, ma che possa variare a seconda dei parametri impiegati e delle finalità che si perseguono è un dato di scienza, o forse più prosaicamente detto di conoscenza che può considerarsi ormai da tutti gli operatori del settore condiviso. Ciò vale nel campo estimativo, prettamente inerente ai rapporti tra soggetti economici privati (intendo riferirmi ai parametri di valutazione da prendere in considerazione nella redazione delle stime, sia quelli riferentisi alle caratteristiche fisiche del bene, sia quelli che costituiscono oggetto degli I.V.S.), ma allo stesso modo anche ai fini fiscali, nel senso che variano i parametri dell’imposizione a seconda della tipologia del tributo di cui si discute.

E’ un insegnamento che si trae da Cass. V^,  sentenza n. 21830/016, da rimarcare sotto più profili.

In primo luogo perché la Corte, vanificando gli effetti della statuizione dei due precedenti gradi di giudizio che erano stati favorevoli ai contribuenti, nei quali si era fatto riferimento ai parametri ICI per fissare il valore del bene ai fini dell’imposta di registro, ha ribadito che la diversità tra i due istituti dell'Ici e dell'imposta di registro non consente di ritenere mutuabili, ai fini della valutazione della seconda imposta, i criteri previsti per la determinazione della prima,  in quanto i soggetti attivi e la struttura dei due tributi è in radice diversa: “sotto il profilo temporale all'occasionalità e all'unicità della prima si contrappone la periodicità e, quindi la ripetitività della seconda, la quantità del cui oggetto va, quindi, determinata anno per anno con riferimento al 1^ giorno del periodo di imposta”. E’ stata inoltre rimarcata la diversità sotto il profilo oggettivo, nel senso che i criteri di determinazione della quantità dell'oggetto di imposta sono solo parzialmente coincidenti e i criteri da utilizzare per l'ICI sono più numerosi e, comunque, diversi e specificamente indicati dal legislatore.

In secondo luogo perché la Corte ha ribaltato quanto deciso in modo uniforme nei due precedenti gradi di giudizio (…quando si dice “non dire gatto finchè non ce l’hai nel sacco”, come ci ha insegnato un noto personaggio del mondo del calcio), per cui il contenzioso finchè è in piedi può riservare sorprese, come le partite, per rimanere in tema, che si giocano in novanta minuti e non finiscono prima.

Sotto un altro aspetto perché in quel caso la vicenda non è finita lì, nel senso che sulla scorta di siffatti principi la Corte ha annullato la sentenza e rimesso gli atti alla Commissione Tributaria (nella fattispecie quella subalpina) affinchè in diversa composizione decida facendo applicazione di quanto statuito in sentenza. Qui si apre un ulteriore capitolo, nient’affatto da sottovalutare, soprattutto ai fini della due diligence, tenendo conto che: a) la sentenza della Cassazione è del mese di ottobre 2016; b) ha cassato la sentenza della Commissione Tributaria Regionale del 2010 (!); c) la quale aveva confermato la decisione di primo grado di cui non si conosce la data, ma quel che interessa è che l’avviso di accertamento si riferiva ad un atto di trasferimento del 2002.

Sono passati dunque ben 14 anni, e ne passeranno ancora non so quanti prima che la vicenda sia conclusa. Chissà nel frattempo che cosa è stato fatto del (e sul, trattandosi di un terreno, credo, edificabile) cespite interessato.

Ma per quanto riguarda la pretesa creditoria dello Stato non dobbiamo dimenticare il privilegio di cui gode per effetto di quanto disposto dall’art. 2772 Cod. civ., che se qualcuno avesse mai dimenticato è forse il caso di andare a rileggere, quanto meno per prudenza.

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