Sentenza della Corte Costituzionale 17 luglio 2017 n. 209

Almeno per ora ha superato lo scoglio di costituzionalità il sistema di norme recentemente introdotte (dal 2010) nel nostro ordinamento, che consentono ai Comuni, in sede di pianificazione urbanistica, di prevedere interventi di valorizzazione di nuove aree o di immobili incassando una parte del maggior valore attribuito dalla nuova destinazione oppure dal cambio di destinazione d’uso, in misura non inferiore al 50% (ma diventa il 66% se il Comune si chiama Roma) su una base di calcolo fissata dalla stessa Amministrazione Comunale, in applicazione delle tabelle parametriche per gli oneri, oppure da essa direttamente determinata, in assenza di queste ultime. Il che vuol dire che il Comune può fare cassa attraverso il piano regolatore, attribuendo ad aree od edifici, ad esempio i fabbricati artigianali o industriali dismessi, una certa volumetria nonché destinazioni d’uso afferenti, fissando il proprio corrispettivo per simile intervento di programmazione, che può arrivare fino al 50 % dell’incremento di valore indicato dallo stesso Comune.

I trasferimenti dall’Amministrazione Centrale alle periferiche sono andati sempre più diminuendo in questi anni, ed il coro di proteste degli amministratori locali, specialmente dei Comuni, non ha ottenuto che un certo clamore mediatico. Le norme di cui stiamo parlando sono invece passate in sordina, forse quasi inosservate. Il Legislatore nazionale si è rivelato ancora una volta attento ad individuare nuovi strumenti di entrata, e nello stesso tempo e senza troppe lusinghe ha fissato il livello della propria voracità, mettendo i Comuni, che sono i principali artefici dello sviluppo urbanistico ed edilizio, in condizione di poter concedere, anche molto, con una mano, e con l’altra di riprendersi fino al 50 % di ciò che hanno dato, giustificando il proprio insaziabile appetito con l’asserita finalità di interesse pubblico, dunque per il bene della collettività che siamo tutti noi.

Salvo poi dover constatare che non sempre le cose sono andate proprio così, come potrebbe confermare, ad esempio, l’evoluzione normativa in questa materia, dalla legge ponte in poi.

La norma di riferimento è sconosciuta ai più, forse anche molti degli addetti ai lavori ne ignorano l’esistenza, e riguarda la modifica dell’art. 16 comma 4 d.p.r. 380/010 in materia di contributo di costruzione, con l’inserimento di un nuovo parametro (d ter) ai fini della predisposizione o dell’adeguamento delle tabelle parametriche degli oneri di urbanizzazione primaria e secondaria. La novità è stata introdotta dal decreto “sblocca Italia”, convertito dalla legge 11 novembre 2014 n. 164, il quale ha anche aggiunto un comma 4 bis all’art. 16 d.p.r. 380/01, per fare salve le diverse disposizioni delle legislazioni regionali e degli strumenti urbanistici generali comunali, trattandosi di materia di legislazione concorrente, mentre per la città di Roma è stata prevista una quota pari al 66% con norma speciale ad hoc del 2010 (a qualcuno potrebbe forse tornare alla mente un certo slogan politico).

I numerosi dubbi di legittimità costituzionale sollevati del Consiglio di Stato, sezione quarta, sono stati sciolti dalla Corte Costituzionale con la sentenza di inammissibilità menzionata nel titolo, dunque senza un esame del merito delle norme, ma nondimeno con un approccio complessivo del quadro normativo, che parrebbe aver ottenuto, sia pure implicitamente, l’assenso del Giudice delle leggi, nel solco del principio della perequazione urbanistica, valorizzando inoltre anche la possibilità di promuovere accordi sostitutivi di provvedimento quale strumento di pianificazione del territorio.

In conclusione possiamo prevedere che le Amministrazioni troveranno in questo strumento una boccata d’ossigeno per le loro esauste finanze, nei limiti di impiego fissati dall’art. 16 comma 4 d ter, ammesso che l’utilizzo del beneficio finanziario che ne ricaveranno venga sottoposto ad un controllo vigile quanto serrato da parte degli organi competenti, ad iniziare proprio dalla Corte dei Conti.

Ma quel che più interessa, credo, in questa sede, è la nuova frontiera comparsa all’orizzonte, per i valutatori immobiliari, quando si tratterà di calare dei numeri nel concreto, per tradurre in cifra la misura percentuale del 50%, la quale rappresenta forse l’unico dato certo in questo contesto.

La norma infatti attribuisce all’Amministrazione il compito, o forse è più corretto affermare il potere, di calcolare il maggior valore generato dalla variante urbanistica sulle aree e sugli immobili interessati, senza peraltro indicare i parametri di valutazione, e senza neppure precisare quando il corrispettivo così determinato, sotto forma di contributo straordinario, debba essere corrisposto dal privato. Sarà forse necessario procedere attraverso uno strumento di collaborazione contrattuale, sebbene la norma non lo richieda, ma certo è che in simile contesto sarà la valutazione dell’esperto, vuoi dell’amministrazione vuoi del privato, a dettare le regole del gioco.

Staremo a vedere.

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