(Corte di Cass., II^ 21 febbraio 2017 n. 4415)

Cosa sia lecito pretendere dall’agente immobiliare, quali siano i limiti della sua responsabilità professionale, quali dati / informazioni dell’immobile trattato egli sia tenuto a verificare, dunque a conoscere, ed a comunicare al potenziale acquirente, sono queste le principali domande che possono trovare una risposta esaustiva in una recente sentenza della Suprema Corte, sezione seconda, forse l’ultima in ordine di tempo, che merita un plauso per la chiarezza espositiva con cui affronta gli argomenti trattati, nel solco della continuità dell’elaborazione ermeneutica, attraverso il richiamo di numerosi precedenti, i primi dei quali risalenti ancora agli anni novanta del secolo scorso.

Il quadro che ne vien fuori pone sostanzialmente in evidenza il fatto che la responsabilità del mediatore non può estendersi alle indagini di carattere tecnico, ad esempio in riferimento alla verifica delle condizioni necessarie per il rilascio del certificato di abitabilità o per quanto concerne la regolarità edilizia ed urbanistica dell’immobile, siccome esse implicano il possesso di conoscenze specialistiche che esulano dal novero di competenze esigibili dal mediatore; mentre questi sarà responsabile per i vizi la cui esistenza sia stata sottaciuta pur conoscendoli, o potendoli (anzi dovendoli) conoscere, con l’ordinaria diligenza.

Quali sono questi vizi?

Va premesso che le sentenze, quella in commento come le precedenti, ribadiscono che l’attività centrale del mediatore rimane quella di mettere in relazione due o più parti in vista della conclusione di un affare, senza essere legato ad esse da rapporti di collaborazione, dipendenza o rappresentanza, svolgendo l’attività demandatagli in modo esauriente e funzionale all’interesse della parte, con diligenza adeguata alla sua posizione, alla luce della disciplina dettata dalla legge n. 39/89, attuativa della Direttiva CE 2006/123, che ha posto in risalto la natura professionale dell’attività e la necessità dell’iscrizione in un apposito ruolo, al quale si accede solo previa verifica del possesso di determinati requisiti di cultura e competenza. Il che se da una parte assicura al mediatore la posizione di interlocutore qualificato, dall’altra ciò non può giustificare un’aspettativa di maggior competenza rispetto alla sua funzione, come se il mediatore dovesse per forza riunire in capo a sé le competenze del tecnico specializzato nelle due diligence immobiliari, del notaio o dell’avvocato.

In che cosa dunque si dovrà sostanziare la prestazione del mediatore? Sarà egli tenuto, in via principale, ad una “corretta informazione”, che sia esauriente e funzionale all’interesse della parte alla conclusione dell’affare, e quindi con diligenza adeguata alla sua professionalità.

La corretta informazione si estrinseca sia in positivo, vale a dire fornendo le informazioni note o conoscibili con la comune diligenza (ad esempio segnalando le ipotesi di contitolarità del bene in capo a più soggetti, l’esistenza di opzioni e prelazioni sul bene, la sussistenza di trascrizioni pregiudizievoli, nonché la verifica sommaria della conformità edilizia, allorchè lo stato di fatto dell’immobile risulti palesemente diverso rispetto al progetto approvato), sia in negativo, astenendosi dal fornire informazioni non veritiere ma soprattutto non verificate, quando si tratti di informazioni ricevute dalla proprietà, “poiché il dovere di correttezza e di diligenza gli imporrebbero in tal caso di astenersi dal darle” (Cass., II^, 16 settembre 2015 n. 18140).

E’ bene forse rammentare a chi legge che lo scopo di questi brevi commenti non è certamente quello di fornire una trattazione esaustiva dei temi affrontati di volta in volta, quanto piuttosto di rimarcare le peculiarità, come anche gli aspetti di maggiore concretezza che possono fornire un supporto, o magari suggerire una strada o un modello di comportamento nel quotidiano.

Ebbene, in questo caso potremmo concludere affermando, con specifico riferimento alla conformità urbanistica ed edilizia del fabbricato, che non fa essa parte delle verifiche che il mediatore è tenuto a fare, ma nel momento in cui questi la afferma se ne assume la responsabilità, e ne risponderà di conseguenza.

Nel dubbio, insomma, è meglio tacere, facendo però attenzione a che il silenzio non si trasformi in una capziosa omissione.

Categorie:
Formazione Continua