Consiglio di Stato Sez. VI 27 gennaio 2017 n. 341
Quante volte sarà capitato che un immobile, già fatto oggetto di abuso edilizio, sia stato stimato ai fini di una compravendita o per l’erogazione di un finanziamento. Un abuso spesso parziale, sanato o condonato anni prima, sul quale magari sono stati successivamente eseguiti altri interventi regolarmente licenziati.
E’ lecito, in simile contesto, porsi il dubbio della regolarità urbanistico – edilizia dell’immobile, nonché della legittimità di simili interventi e dei provvedimenti autorizzativi adottati? La risposta ovviamente è negativa, nel senso che tra le molte verifiche da farsi almeno quella non è necessaria, andrà soltanto accertato che le opere abusive condonate corrispondano alla realtà e che vi sia conforme documentazione catastale.
Neppure come avvocato me la sentirei di smentire un simile convincimento, o di affermare banalmente il contrario. Eppure, se il linguaggio legalese è invaso dal condizionale e dall’ottativo, e quasi non conosce l’indicativo, come spesso mi capita di sottolineare nei corsi di formazione, ebbene una ragione ci sarà pure, e la sentenza rubricata del Consiglio di Stato (Sez. VI 27 gennaio 2017 n. 341) lo conferma senza mezzi termini.
Si tratta di una sentenza di accoglimento di un ricorso in appello, il che vuol dire, perdonatemi l’ovvietà ma va rimarcata, che in primo grado il Tar (Campania) era stato di ben altro avviso, a proposito della determinazione, da parte di un Comune, che nel 2014 aveva pensato bene di disporre l’annullamento d’ufficio di una concessione edilizia in sanatoria rilasciata appena nel 2001 (sic! non ci sono errori di stampa) nonché di un correlato permesso di costruire rilasciato nel 2010 ed ancora, per concludere, di una d.i.a. del 2012.
Non sono le opere realizzate ad interessare in questa sede, ma certamente la scansione temporale, nel senso che è al di là del ragionevole, ed anche dell’irragionevole, immaginare che si possa intervenire nel 2014 su un provvedimento risalente ad appena (si fa per dire) tredici anni prima, sul quale inoltre sono stati radicati altri due provvedimenti rilasciati secondo il corso ordinario. Si è impegnato il Consiglio di Stato, costruendo una motivazione piuttosto complessa, ma che nella sostanza ribadisce le due condizioni essenziali per l’esercizio del potere di annullamento d’ufficio da parte dell’Amministrazione, vale a dire un provvedimento adottato contra legem (i) e l’individuazione di un interesse pubblico concreto ed attuale (ii) che debba essere considerato prevalente rispetto all’affidamento recessivo ingenerato in capo al privato.
Nondimeno, in quel caso si è dovuto procedere attraverso due gradi di giudizio, per veder riconosciuto ciò che il buon senso avrebbe suggerito come dettato dall’ovvietà.
Ma evidentemente non è sempre così.
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Urbanistica e Edilizia