"Periziate bene, gente, periziate!” si potrebbe dire evocando una nota pubblicità dopo aver letto la sentenza resa dalla Seconda Sezione Civile del Tribunale di Napoli (sentenza 21 ottobre 2016 n. 11522), che ha condannato in tre distinti giudizi riuniti il professionista, di cui la sentenza pubblicata non svela l’identità e neppure la qualifica professionale, per avere stilato tre perizie farlocche alle quali un istituto di credito si è affidato per erogare altrettanti mutui ipotecari, poi tradottisi in insolvenze, scoperte in sede di esecuzione forzata dal confronto con i dati emersi dalla perizia di stima del perito incaricato dal giudice.
Dunque un’unica sentenza per tre condanne, il che vuol dire che si è trattato della stessa banca che ha fatto tre volte causa allo stesso perito, il quale per tre volte (almeno) non aveva fatto bene “il suo mestiere”. Leggendo la sentenza è facile cadere, di primo acchito, in un tratto moralistico, perché “il professionista” se la sarebbe cercata, non limitandosi a quanto pare a falsificare i valori di stima a metro quadro, ma andando ad attribuire a ciascun immobile caratteristiche fattuali e di dimensioni non vere, forse anche inventate di sana pianta.
Per quanto ci riguarda potremmo forse archiviare velocemente il caso con un “imputet sibi” chi è causa dei propri mali. Ma ne saremmo in ogni caso del tutto certi? Questo professionista verosimilmente, ma forse possiamo dire certamente, si è giocato la stima della banca, che avrà cancellato il suo nominativo dall’elenco dei propri fiduciari, e delle sue perizie non ne vorrà più sapere. E allora, da professionista(i) non possiamo non chiederci se “il nostro” non se lo sia chiesto se ne valesse la pena di perdere un simile cliente per compiacere qualcuno, magari cedendo alle lusinghe ingannevoli, sebbene pecunia non olet, di un privato (anzi tre) che il mutuo lo voleva ad ogni costo. Ragionevolmente la risposta è no, nessun professionista è disposto a perdere un ottimo cliente, conquistato a fatica e costruendo su quello la propria immagine professionale, per una perizia vistosamente claudicante e fors’anche prezzolata. No, la risposta è altrove, e se dovessi scommettere sulla soluzione “B” direi che quelle perizie sono state fatte con il consenso e magari dietro sollecitazione della stessa banca (recte di un qualche funzionario, piuttosto che del direttore della filiale) per riuscire in qualche modo a dimostrare la sostenibilità di quei mutui, che andavano per forza erogati.
Ma perché il professionista si sarebbe prestato? Ne avrà forse (ma non è detto) tratto un qualche vantaggio, certamente, ma non poteva egli immaginare che sarebbe finito sotto la scure? Dietro la risposta ovviamente affermativa si profila l’ombra, inquietante, di un’altra verità, che se non si fosse prestato “al gioco” egli sarebbe comunque finito in panchina, destinato come riserva a non giocare più, perché di questi tempi, e con normative ancora così poco definite circa le qualità soggettive ed oggettive delle stime, di potenziali giocatori titolari ed a basso costo se ne trovano senza lesina.

Il commento dell'Avv. Teresio Bosco docente del Corso Elementi di diritto pubblico, privato e urbanistico a Mantova il 1 dicembre 2016.

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