Una recente sentenza del Consiglio di Stato (sez. VI^, 22 settembre 2016 n. 4267) (ri)torna a definire il confine, non sempre così certo, tra manutenzione straordinaria e ristrutturazione, precisando che devono farsi rientrare nella prima e non nella seconda le opere interne che non interessano parti strutturali dell’edificio ma unicamente la distribuzione interna dell’unità abitativa, con eliminazione e/o spostamenti di tramezzature. Il carattere precipuo della ristrutturazione edilizia, prosegue la sentenza, è costituito dalla finalità rappresentata dalla trasformazione dell’organismo edilizio, che dovrà risultare diverso dal precedente, ma deve inoltre trattarsi di interventi che comportano la modifica della volumetria complessiva degli edifici o dei prospetti, valorizzando la congiunzione “e” utilizzata dalla norma. Dunque non basta una mera modifica dei prospetti, ma occorre che il risultato dell’intervento sia la realizzazione di un organismo edilizio in tutto od in parte diverso dal precedente. Si tratta di una decisione che merita particolare attenzione sia per la lineare schematicità della motivazione, e nello stesso tempo per la semplicità di lettura che ne rende agevole la comprensione. Ma si tratta a mio avviso di una sentenza molto interessante anche perché, ponendo attenzione alla situazione di fatto nella quale si inserisce, ribalta la decisione del primo giudice (Tar Lazio), che aveva di contro rigettato il ricorso originariamente introdotto, avallando pertanto l’ordinanza di demolizione costruita sull’art. 33 T.U. Edilizia che aveva qualificato l’intervento come di ristrutturazione in assenza di titolo e ne aveva disposto la demolizione e rimessa in pristino.
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Urbanistica e Edilizia